2005
2010
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Annabelle Priestley
Despite the apparent chaotic application of paint, Musti’s precise dripping technique leaves little space for chance. Each figure is the accurate reproduction of Greek sculptures statues he photographed in Sicily, while the colorful patterns are inspired by the Arabo-Roman art and architecture designs found in his native island. These elements of a glorious past, blend to form a beautiful whole. Yet, tension is perceptible. In this series, bright swirls of color shake the thousand-year-old statues out of their stupor. They wake up in a world in which humankind seems to have lost his mind. In their race for economic performance and material illusions, civilizations forget about their past and jeopardize their future. Musti’s paintings are a direct comment on the current state of our planet endangered by warfare and ecological disasters, leading to human suffering and destruction of cultural heritage. As old myths are falling apart, Musti’s paintings call for the creation of new meaningful ones.
Annabelle Priestley is a curatorial assistant at the Princeton University Art Museum. She has an M.A in Contemporary and Modern Art and its Markets from Christie’s Education in New York.
At the Princeton University Art Museum, she put up the exhibition Women Artists and Abstraction and carried on preliminary research for several other exhibitions at the museum, including Joseph Albers: Formulation and Articulation, Time Capsule, 1970: Rauschenberg’s Currents, and Color and Motion.

Con il suo lavoro più recente, basato su quadri dal cromatismo accesissimo, su tessiture quasi
lisergiche e su citazioni della scultura greca e romana, Arrigo Musti dialoga paradossalmente con il
volto reale della classicità: riscoprendone mescolanze e contaminazioni e dando nuova vita a quel
colore che oggi sembriamo aver dimenticato nella nostra visione falsata di un’antichità
completamente bianca.
La pittura di Musti è composta infatti da una materia vibrante e quasi acida, da texture e gocciolature,
da superfici tattili e smaltate dove, come sommerse, pulsano le memorie delle antiche sculture, in una
sorta di mondo parallelo, subacqueo e onirico, in cui millenari frammenti iconici sembrano emergere
dall’inconscio collettivo di tutto il Mediterraneo.
Musti, tra l’altro, lavora spesso sulle stesse matrici figurative, citando volutamente spesso la
medesima opera antica, componendo una sorta di immensa variazione su un unico tema visivo in
dialogo esplicito non solo con la serialità pop di Andy Warhol, ma anche con quella di Giorgio de
Chirico, che amava replicare e ripetere le sue opere suscitando per questo l’ammirazione dello stesso
Warhol.
Grazie a questi cardini del suo lavoro e in una sintonia che supera il tempo, Musti si connette quindi a
uno degli elementi centrali della diffusione dei modelli della scultura antica, che nel mondo romano
erano noti per una massiccia produzione di copie basata proprio su quella serialità che, in
quest’ottica, è stata recentemente indagata e riproposta da importanti mostre tra Milano, Venezia e
Roma.
Come insegnava Maurizio Calvesi ai suoi allievi, facendo un paragone tra Caravaggio e Guttuso, spesso
l’arte contemporanea ci è utile a comprendere anche l’arte dei secoli passati e Musti, in questo caso,
ci aiuta a comprendere e a vedere il volto smarrito delle statue antiche, a ritrovare la memoria della
loro policromia, a riscoprire quel colore che le ravvivava e che il tempo ha portato via raggelando le
fattezze di opere che volevano avere un (iper)realismo assoluto, armonizzandosi, nella loro volontà di
mimesi, alla varietà dei colori del mondo.
Arrigo Musti è consapevole tuttavia che quel colore è oramai perduto e che la sua evocazione può
animarsi come un sogno o una visione, nell’elegia di un’antichità che oggi possiamo solo immaginare,
come se il tempo degli orologi si interrompesse e si aprisse davanti ai nostri lo spettacolo dell’origine,
in una sorta di eterno ritorno dove ritroviamo il profumo di fioriture millenarie e dove gli dei ci
sorridono e danzano, rinati e riapparsi dalle terre inesplorate dell’inconscio.
Lorenzo Canova
(Roma 1967), storico dell’arte, curatore e critico d’arte.
Dottore di ricerca in Storia dell’arte presso l’U- niversità di Roma “La Sapienza”, è professore
associato di Storia dell’Arte Contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche,
Sociali e della Formazione dell’Università degli Studi del Molise.
Si occupa di arte moderna e contemporanea, con una particolare attenzione all’arte del
Cinquecento romano, all’arte della seconda metà del Novecento e all’arte delle ultime
generazioni italiane e internazionali.
Ha curato mostre in musei e spazi pubblici italiani e internazionali.
È fondatore e direttore dell’ARATRO – Archivio delle Arti Elettroniche- Laboratorio per l’Arte
Contemporanea, Università degli Studi del Mo- lise, Campobasso. È componente del
consiglio scientifico e del board della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.







Abyss
enamel on iron
cm 336x385x7
2015
Arab Norman
Lanza Branciforte
Castle
Trabia (Sicily)

Drops serie
mixed media on iron
Drops
Civic Museum of Castelbuono (PA)
curated by Lorenzo Canova
2014










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Nameless
mostra personale a cura di Marisa Vescovo
Complesso monumentale di Vicolo Valdina iRoma
Sale della Sagrestia e del Cenacolo.
Camera dei Deputati
a sinistra Acid rain 2
tecnica mista a olio su tela
cm 300x200
2009








54esima Biennale di Venezia
2011
Padiglione Italia
Arsenale di Venezia
a cura di Vittorio Sgarbi
su scelta di Giuseppe Tornatore
regista
opere esposte
singing in the blood rain triptych
(in basso)
self portrait
(a sinistra)
